La fiducia


Ormai tutti concordano sul fatto che ottenere la fiducia del nostro interlocutore rappresenta un dato imprescindibile di ogni buona trattativa (e di qualsiasi rapporto umano): senza quella parolina magica, chi ti sta di fronte non prende in buona considerazione ciò che dici o prometti e quindi non acquista (o non ti assume, non accetta un tuo invito, una tua proposta, non crede ad una tua promessa, ecc ecc), o comunque comincia a sollevare un muro di diffidenza, di sospetti e quindi di obiezioni, spesso insuperabili.
Ma cos’è questa famigerata fiducia? Qual è il suo significato più profondo? E’ talmente importante (non solo nei rapporti commerciali, ovviamente) che non possiamo non andare a fondo della sua essenza. E’ un ingrediente base di ogni tipo di rapporto, eppure spesso sembra che ciascuno di noi utilizzi questa parola con troppa superficialità, con espressioni del tipo “io mi fido di tutti”, oppure “io mi fido solo del mio istinto”, o ancora “io metto prima alla prova e poi concedo la mia fiducia”: per poi notare che nei fatti ciò che si dice è l’esatto contrario.
Io credo che non ci sia qualcosa di estremamente negativo nel non dare fiducia, né di estremamente o necessariamente positivo nel concederla facilmente, se prima non ci si accorda su ciò che rappresenta per ciascuno di noi.
Letteralmente la fiducia è semplicisticamente l’affidamento che si fa su qualcuno o qualcosa, sulla base della stima che si nutre in una determinata persona o dell’ottimismo che si ripone in una determinata situazione.
Ma a livello più profondo, dalla psicologia all’astrologia (anche se con forme diverse) si è concordi nel ritenere che la fiducia sia ben altro. Ad esempio, secondo lo psichiatra e il teosofo italiano Roberto Assagioli, si tratta di un vero e proprio sentimento appartenente a quelli superiori e positivi, insieme alla felicità, alla speranza, all’appagamento, all’amore, all’ottimismo e all’estasi. Se riusciamo ad accedere naturalmente a questi sentimenti, significa che la nostra evoluzione spirituale è ad un punto tale da renderci predisposti a vivere sensazioni positive.
Quindi, prima di concentrarci sulla nostra capacità di conquistare la fiducia del nostro interlocutore, dovremmo esaminare la nostra capacità di elargire o meno la nostra fiducia, a noi stessi, alle altre persone e (non per ultimo) nell’universo (perché la fiducia è anche un passaggio per un sentimento ancora più grande, l’”affidamento” a qualcosa di superiore con cui siamo in relazione).
Secondo la mia personale opinione quindi, non si può pretendere di trovare negli altri qualcosa che non siamo innanzitutto pronti o disposti a donare noi stessi. Se non effettuiamo questa prima analisi del nostro approccio alle persone e alla vita, difficilmente con le semplici tecniche imparate in un corso o in un libro riusciremo ad essere in grado di farci affidare anche solo un centesimo.
Ma quanto è difficile oggi dare fiducia? Sono mesi che questa domanda mi ronza nella testa: nel mio personalissimo percorso di crescita e di automiglioramento, questa rappresenta la sfida più difficile.
Dare fiducia significa nei fatti concreti non difendersi, non mettere barriere dettate dai dolori passati, dalle paure, dalle diffidenze, dagli schemi mentali, dai preconcetti, dalle esperienze negative, dalle somiglianze, dagli impulsi del subconscio, ecc ecc. Insomma, una lotta continua ed estenuante, spesso condotta non con persone reali ma con dei fantasmi risorti chissà da quale passato. Oppure, quando si lotta con persone reali, molto spesso il “combattimento” non è effettivamente con loro ma con ciò che loro simboleggiano: l’accidia, la presunzione, la disonestà, la falsità, la furbizia, la brama di potere, l’arrivismo, e tanto altro ancora.
E’ sano difendersi appena intuiamo o avvertiamo di essere al cospetto di siffatti elementi. Forse quello che non è sano per il nostro benessere è soffrirne, vivere le delusioni con sofferenza, con tristezza, con risentimento. Quando le viviamo ci sembrano una logica conseguenza dell’esperienza appena fatta: “mi aspettavo sincerità da lei/lui, così non è stato, è normale che sia arrabbiata”. Ed è in effetti così. Ma tutto dipende da quanto tempo effettivamente ci portiamo dietro quel senso di rabbia, di frustrazione, di dolore ecc ecc, o da che tipo di ripostiglio poi troviamo a questo tipo di sensazioni negative. Dove le riponiamo una volta metabolizzate? Nel cassetto dei nostri ricordi, da poter tirar fuori ogni volta che ricapitano situazioni simili? O nel cassetto delle nostre conquiste, da poter riguardare senza che ci provochino il minimo disagio passato, presente o futuro?
E’ questa secondo me la sottile ma fondamentale differenza tra dare effettivamente fiducia o darla in maniera artificiale: se la doniamo per aspettarci che non venga delusa, la stiamo solo dando in affitto, aspettandoci in cambio il pagamento del canone. Se invece imparassimo a darla in maniera realmente incondizionata, impareremmo forse a non avere mai più fregature. Perché le fregature possono arrivare solo quando ci si aspetta qualcosa in cambio.

Ma devo ammettere che la mia per ora è pura teoria: sono ben lontana dal riuscire a mettere in atto una fiducia che si avvicini a quell’”amore incondizionato” nei confronti degli altri. Questa teoria però mi aiuta a non illudermi, a non affermare in maniera falsa “io mi fido sempre degli altri”, perché quando lo faccio è per un tornaconto. Oppure “se mi danno prova di meritarla, allora mi fido”, perché quella è una fiducia comprata. Oppure “mi fido del mio istinto”, perché quella è una fiducia selettiva.

Ovviamente se non ci credi, non fidarti di ciò che ho scritto. Anche perché, sono talmente lontana dall’evoluzione della mia anima, che spesso io stessa non mi fido di ciò che penso!

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