I falsi venditori
Spesso si parla della differenza tra i veri venditori professionisti e gli pseudo venditori, quelli che fingono di mettere il cliente al centro della propria attenzione e dei propri interessi, per scoprire (scavando scavando…ma neanche così tanto profondamente) che lo fanno esclusivamente per estorcere soldi e che soprattutto non lo fanno neanche così bene.
Oggi ho letto una metafora abbastanza particolare e l’ho subito associata alla descrizione di questa categoria di finti professionisti.
Immaginiamo l’umanità come un gruppo di trekker e la vita come una catena di montagne con i suoi sentieri e le sue vette. I falsi venditori sono al di fuori del gruppo, sono ai piedi della montagna, e lì resteranno per sempre, ignorando quindi le meraviglie che nascondo i sentieri lungo la scalata, il piacere di confrontarsi e di collaborare con il gruppo, la ricerca delle attrezzature giuste che vanno cambiate man mano per proseguire il viaggio, e la beatitudine che si prova quando si arriva in cima.
Loro in realtà restano ai piedi della montagna perché non sono attrezzati: non hanno gli scarponcini, i picconi, lo zaino ecc ecc. Anzi, la verità è che sono in mutande. Ma piuttosto che ammettere di essere in mutande e adoperarsi per cercare l’attrezzatura giusta, con il rischio però di dover affrontare veramente la montagna e di scoprire di non riuscire ad arrivare in cima, si raccontano un sacco di balle. Guardandosi allo specchio si dicono “IO SONO PIU’ FURBO DEGLI ALTRI”.
In realtà nel loro intimo non desidererebbero altro che essere dei validi trekker ma sanno di essere spudoratamente in mutande, per questo da un lato ammirano i trekker e dall’altro li detestano. E allora, per non ascoltare la loro vocina interna che li farebbe sentire inferiori, canticchiando il loro motto “io sono più furbo, io sono più furbo” vanno alla prima bancarella di vestiti di carnevale e comprano un abito da trekker (del valore di 5 euro venduto dai cinesi, fatto con tessuto sintetico), degli scarponcini (che hanno solo l’apparenza di scarponcini ma su una base di infradito), e un piccone (che sembra di ferro ma in realtà è di cartapesta).
Così travestito si intrufola nel gruppo dei veri trekker ai piedi della montagna presentandosi come il capocordata, come colui che è lì per aiutare i propri “compagni” nella preparazione del proprio cammino e per soccorrerli e curarli dai loro infortuni. E’ quello che vedrai piangere se un trekker è ferito, è quello che racconta dei suoi infortuni passati perché le storie fanno presa (e suggestionano), è quello che parla parla anziché lavorare duro insieme e per gli altri. In realtà l’unico motivo per cui lui è lì è quella di voler spezzare le gambe agli altri, per cercare di mietere più vittime possibili, sparando nel mucchio per cercare di colpire i trekker più deboli.
E per facilitarsi il compito si stampa pure un bigliettino da visita con su scritto “mutuo soccorso dei trekker”! Perché una cosa è certa: la fantasia nel raccontare le balle a se stesso e agli altri è davvero il loro forte!
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